venerdì 18 Ottobre 24

Taranto, ridi che ti passa

Abbiamo tutto per essere felici e invece sembriamo depressi. Rassegnati. Votati alla sconfitta. Nessuna città del Mezzogiorno, in questo particolare frangente storico, è più interessante del capoluogo jonico. Nonostante la nostra classe politica da Prima Categoria nel calcio dilettantistico, guardiamo al futuro con maggiore speranza

Scrive Lucio Caracciolo su Limes: “L’Italia non ha una classe politica da Paese che siede stabilmente nel G7”. Si potrebbe replicare, mutatis mutandis, Taranto non si è dotata in tutti questi anni di un gruppo dirigente all’altezza del compito che la Storia ha voluto assegnarle. Lo scarto è tra quello che siamo e quanto non abbiamo voluto – e potuto – essere. Quasi un fossato da trincea bellica separa il sogno collettivo dalla precarietà quotidiana. E’ come se l’atto, il momento, avessero soggiogato la potenza. Lo scenario futuro. Il vulnus tra mondi spazio-temporali inconciliabili è visibile, a portata di mano, anche se fingiamo di non accorgercene. Siamo professionisti nella prassi della distrazione. Inseguiamo il generale, molto più spesso il generico, e ci dimentichiamo dei particolari. Della circostanza, per esempio, che non esiste in questo momento città del Mezzogiorno potenzialmente più interessante del capoluogo jonico. Diversamente ricca, nel senso di un’opulenza in grado di dipanarsi. Di sprigionarsi con la stessa logica dei liquidi che sconfinano nei vasi comunicanti.

I soli Giochi del Mediterraneo determineranno un giro d’affari di svariate decine di milioni di euro. Il nuovo Ospedale San Cataldo, se accompagnato da una strategia universitaria dedita alla ricerca scientifica e all’innovazione medico-sanitaria, potrebbe fare di Taranto il polo aggregante della sanità pubblica pugliese. Aspettando i dragaggi, il Porto è la misura della nostra grandezza negata. Affaccio sul Mediterraneo dei ricchi traffici; e della moneta contante. Di un capitalismo relazionale che cerca casa per posizionarsi e pianificare possibili sfere d’influenza. Tutto questo ben di Dio, l’invito ricevuto per prendere parte ad un pranzo pantagruelico, dovrebbe renderci allegri. Speranzosi. Spavaldi. Non depressi, con i musi lunghi, e la lamentela innescata neanche fosse un pilota automatico dei nostri malfermi convincimenti. Litighiamo con il termometro quando dovremmo capire le ragioni alla base della nostra febbre. Quando tutti indietreggiano, è l’ora di avanzare. Andare più spediti delle lumache che ci rappresentano non è poi così difficile.  

Articoli Correlati