giovedì 26 Dicembre 24

Autismo infantile: un percorso in perenne “lista d’attesa”

Intervista alla mamma di un bambino della provincia di Taranto, che ha raccontato l’iter tutto in salita dalla diagnosi alla terapia, tra lunghe liste d’attesa, assenteismo di alcuni terapisti e insegnanti di sostegno impreparate

Marco (nome di fantasia) è un bambino bellissimo, molto alto per la sua età, che ama disegnare fumetti e giocare a calcio, con gli occhi di un celeste puro, proprio come quelli della sua mamma.

Una di quelle donne all’apparenza fragili, ma in realtà forti come la roccia, che la retorica odierna predilige definire “guerriere”; come se vivere con un bimbo affetto da autismo debba necessariamente implicare una lotta.

In effetti, ascoltando il racconto della mamma di Marco, si ha proprio l’impressione di avere a che fare con una battaglia continua, logorante, che parte dall’ottenimento della diagnosi e continua con l’assegnazione e lo svolgimento delle terapie.

Partiamo dall’inizio: come e quando avete scoperto che Marco era affetto da un disturbo dello spettro autistico?

Quando mio figlio aveva due anni e frequentava l’asilo nido le insegnanti ci hanno suggerito di interpellare il Servizio di Neuropsichiatria infantile dell’Asl di Manduria; così è cominciata la mia prima lunga lista d’attesa: ho ottenuto la visita con la neuropsichiatra infantile dopo un anno, quando mio figlio aveva quasi tre anni.

I bambini, secondo me, non dovrebbero aspettare così tanto: stiamo parlando della loro salute!

 La dottoressa ci ha indirizzato al CAT di Mottola e anche lì abbiamo dovuto attendere tanto per ottenere una prima valutazione.

Alla fine di questo lungo percorso abbiamo ricevuto una “valutazione momentanea”, perché nel campo dell’autismo non sempre è possibile ricevere una diagnosi definitiva a tre anni.

Dopo la prima diagnosi ritieni di aver ricevuto il sostegno necessario da parte della sanità pubblica?

In quanto genitori di un bambino affetto da disturbo autistico abbiamo il diritto di partecipare ad incontri con altre famiglie e dottori del CAT, all’interno dei quali esporre e condividere i nostri problemi, per trovare insieme delle soluzioni. Tuttavia, anche in questo caso c’è una lunga lista d’attesa: al momento, sono in “fila” da agosto.

Quindi posso senz’altro dire che avrei voluto più sostegno da parte della sanità pubblica, incontri settimanali che guidassero la mia famiglia all’accettazione e gestione della problematica di mio figlio. Invece, a causa di queste attese infinite, molti problemi siamo costretti ad affrontarli quotidianamente da soli, spesso senza sapere se stiamo agendo nel modo corretto.

Un percorso in continua “attesa”, quindi

Esattamente. Il procedimento è molto lungo: dopo la prima diagnosi ricevuta a tre anni c’è stato un monitoraggio annuale della situazione. Prima che Marco iniziasse la scuola elementare mi hanno chiesto di contattare il CAT di Mottola per effettuare una rivalutazione: solo che, anche in questo caso, l’attesa è stata talmente lunga che, prima di potervi accedere, mio figlio ha iniziato e terminato la prima elementare.

Io tartassavo il CAT di chiamate: “Signora non ci siete solo voi, non possiamo dare priorità a nessuno, dovete aspettare”, mi rispondevano. Ci dovrebbero essere molti più Centri, che garantiscano tempistiche più rapide nell’iter di diagnosi e riconoscimento di sostegno e terapie.

Parliamo delle terapie vere e proprie

Finchè siamo stati al CAT di Mottola non abbiamo avuto problemi, i dottori sono tutti in gamba; quando ho chiesto il trasferimento nel nostro paese, però, sono cominciati i problemi: Marco ha cambiato diverse logopediste e ogni volta doveva abituarsi ad una persona nuova. Inoltre tante, troppe assenze da parte dei terapisti, col risultato di ottenere un percorso discontinuo e ridurre drasticamente le probabilità di conseguire risultati soddisfacenti.

Per questi motivi ho anche provato a iscrivere mio figlio a logopedia e psicomotricità privatamente, ma il costo della sola logopedia, all’epoca, si aggirava sugli 800 euro al mese: una cifra al di sopra delle nostre possibilità.

Il sostegno a scuola, invece, è arrivato quando Marco aveva già 4 anni, al secondo anno di asilo: inutile dire che ogni settembre avevo l’ansia che la maestra potesse cambiare e creare ulteriori disagi.

La difficoltà più grande che hai dovuto affrontare in questi anni?

Sicuramente le liste d’attesa, che ci hanno causato grandi disagi e appesantito ulteriormente la situazione; poi l’assenteismo dei terapisti, che, come ho detto prima, mina significativamente la capacità di progredire.

Infine la scuola: penso che ci debba essere un collegamento tra l’ambito scolastico e il centro frequentato dal bambino, perché solo un lavoro di squadra può garantire buoni risultati.

Invece, mi sono trovata di fronte a terapiste troppo occupate per contattare la scuola ed ad insegnanti che chiedevano a noi genitori come comportarsi nella maniera corretta.

Hai riscontrato, quindi, una certa inadeguatezza anche nell’ambito del sostegno scolastico?

Purtroppo sì: mi spiace dirlo, ma il sostegno è ormai considerato trampolino di lancio per l’insegnamento “classico”; per quella che è la mia esperienza, posso dire di aver avuto a che fare con persone che mi chiedevano cosa fare, come comportarsi, di riferire loro cosa aveva detto il CAT: insomma, figure totalmente impreparate a svolgere il proprio ruolo. Sarebbero, invece, necessari percorsi specifici e continui aggiornamenti: sono loro a dover offrirci il loro “sostegno”, non il contrario!

Come sta ora Marco?

Al momento lui ha otto anni e fa logopedia e terapia occupazionale. So che a breve dovrà cambiare il suo percorso, ma devo aspettare (ancora!) di essere convocata per saperne di più.

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