sabato 21 Dicembre 24

Ci vuole orecchio

“Enzo Jannacci: Vengo anch’io” di Giorgio Verdelli, il docufilm da qualche giorno disponibile su Netflix, è un vero capolavoro. Su un tram, in una Milano senza tempo, si raccontano le gesta del più geniale cantautore italiano. Un’artista intelligente, mai banale, che seppe tenersi lontano da un certo imperante provincialismo

Emozionante. Imperdibile. A tratti struggente. “Enzo Jannacci: Vengo anch’io” di Giorgio Verdelli, il docufilm da qualche giorno disponibile su Netflix, è una vera e propria gemma audiovisiva. Una singolare biografia che scorre giù liscia al pari di una sorsata di acqua dopo una corsa umida. Ammetto di essere partigiano sull’argomento; di stare da una parte ben precisa, insomma. Considero Jannacci il più grande cantautore italiano. Il più geniale e istrionico di sempre. Il meno provinciale in un’Italia egualmente e sfortunatamente, ieri come oggi, a disagio dinanzi alle novità vere. Era anche, Jannacci intendo, un tifosissimo del Milan: sarebbe bastato solo questo particolare, qualora ce ne fosse stato bisogno, a rendermelo simpatico seppur tra mille antipatici. Ma il lavoro di Verdelli, scherzi a parte, è davvero ben confezionato. La dinamica narrativa si dipana a bordo di un vecchio tram. Si è trasportati in una Milano senza tempo che restituisce, attraverso un vasto repertorio, spesso inedito, tutti i momenti topici: le collaborazioni con l’amico fraterno Giorgio Gaber, con Dario Fo, l’incontro con Cochi e Renato, ma anche le avventure su palchi, teatri, cantine e quella vocazione di medico – chirurgo cardiovascolare, specializzatosi in Sudafrica con Christian Barnard (primo al mondo a realizzare un trapianto di cuore) – che forse gli sarebbe piaciuto seguire di più.

A contribuire invece al racconto corale, accanto al figlio Paolo e al suo piano, i retroscena di un commosso Diego Abatantuono, di Cochi Ponzoni, Massimo Boldi e Nino Frassica, oltre che di colleghi come Paolo Conte, Roberto Vecchioni, Francesco Guccini, Paolo Rossi, Claudio Bisio, Elio, Valerio Lundini e molti altri. Bella compagnia, conversazioni stimolanti, luccichio d’intelligenze mai dome in un’epoca che sognava l’impossibile vivendo del possibile. Vasco Rossi mette a nudo, con inusitato candore, il suo immenso debito verso Jannacci. Rivelando, ad esempio, come “Siamo solo noi”, in fondo, non fosse che il sequel a modo suo di “Quelli che” e come “Vado al massimo” volesse riprendere le suggestioni di “Messico e nuvole”, con tanto di risvolti inediti della loro amicizia, sintetizzati in un memorabile duetto tv di “Vita spericolata”.

Jannacci, l’autore di capolavori come “Ci vuole orecchio”, “Vincenzina e la fabbrica”, “Silvano”, ripeteva spesso come” la vita altro non fosse che una prostituta”. E che “si sta dalla parte degli ultimi perché i primi le loro soddisfazioni sanno già come prendersele”. Un intellettuale che s’interrogava e c’interrogava. Un poeta che seppe donare, amalgamare i suoi versi con un pentagramma di note musicali. Chi non l’avesse visto, corra a farlo subito. “Enzo Jannacci: Vengo anch’io” è, semplicemente, un capolavoro.

 

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