venerdì 18 Ottobre 24

La Mo.S.A, una “Storia” che toglie il fiato

La prima locomotiva, le foto ed i siluri non possono essere il centro di una mostra che colpisce al cuore. Parliamo di un tesoro nascosto sul quale Taranto dovrebbe investire per recuperare un rapporto sincero con le proprie origini

Quelli bravi vi riempirebbero di cenni storici, di numeri, date e croci piantate in fondo al mare, finendo con l’affogare il respiro vivo di una mostra, che diversamente da tutte le altre profuma inspiegabilmente di presente. Sempre quelli bravi, esalterebbero, forse anche a giusta ragione la magnificenza del reperto, il perfetto stato di conservazione del cimelio piuttosto che la chicca che lega la storia d’Italia a quella del pallone nostrano. Ancora loro, dato il momento, si getterebbero senza subbio a capofitto in una deprimente ed acchiappalike analisi etico – sociale sulla “glorificazione” dell’oggetto militare.

Noi che invece con i numeri, con le croci e con i like abbiamo un rapporto abbastanza freddo, abbiamo preferito concentrarci, anche in un ambiente rigoroso come la Mo.S.A (Mostra Storica Artigiana, ndr) sulle sensazioni, sulle atmosfere, sui colori e sui sentimenti che un luogo sospeso nel tempo come l’Arsenale Militare di Taranto, riesce a trasmettere.

La differenza in un sacrario dove tutto si concentra nel ricordo, la fanno le voci che imbastiscono la trama, le guide che raccontano la Storia e che diventano capaci di modellarla in base al tipo di platea con la quale si raffrontano, rendendo avido di sapere ogni tipo di orecchio e desideroso di vedere l’occhio di ogni età.
A dirla tutta i nostri, partono avvantaggiati perché lo scenario, molto spesso emisfero inesplorato, stupisce a tal punto da disconnettere udito e vista, calando chi ascolta in una romantica tanto quanto sconosciuta Taranto d’inizio Novecento.
La passeggiata non pone un confine tra la storia militare e quella della città, che viaggiano parallele, sino ad in incrociarsi, legandosi a doppio filo per poi allontanarsi sino al giorno d’oggi, dove le due anime paiono non appartenere allo stesso territorio. L’idea, nobile, è quella di sdoganare l’Arsenale, di farlo tornare ad essere simbolo d’appartenenza della città, di rimuovere quella necessità di debita distanza coltivata dalle generazioni che ne hanno assaggiato solo il declino e che lo guardano come non luogo, per il sol fatto di non esservi mai entrati.

Il proiettile, dono nemmeno tanto infiocchettato recapitato dalla Marina di Sua Maestà a Punta Stilo, che consegna alla Storia lo scafo della Giulio Cesare, tanto quanto la ruota a caviglie (noi, che non abbiamo fatto il militare lo chiameremmo “timone”) dello sfortunato Cristoforo Colombo impreziosiscono il bagaglio pieno con cui ci si lascia alle spalle la mostra; toccarli, ti rende partecipe di un frammento di Storia, ti avvicina sensibilmente alle vicende terrene e non di persone con le quali la tua vita, sino a quel momento non ha avuto nulla a che vedere, ma non bastano a descrivere il momento, non spiegano l’emozione, vera e propria essenza dell’esserci.

La Mo.S.A è un tesoro nascosto, qualcosa di cui chiunque, con un briciolo di cultura e appartenenza dovrebbe andar fiero. Lodi, solo ed esclusivamente lodi a chi ha deciso di spolverare degli attempati ed apatici saloni, trasformandoli nell’El Dorado della rappresentatività moderna di questa città.
Lodi, ed ancora lodi a chi riesce a gettare nel proprio lavoro una passione tale, da renderlo invidiabile agli occhi di chi lo osserva.
Altrettante lodi a chi è talmente bravo da regalare agli occhi di un bambino che sogna il mare, una storia che toglie il fiato.

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