Murakami ci regalò qualche anno fa un saggio delicato e semplice. Un manifesto delle libertà non vilipese. Un grande insegnamento per quanti non vogliono rassegnarsi alla cappa asfissiante che scandisce il nostro tempo
Murakami corre per scrivere. E scrive perché si possa continuare a correre. L’autore di “Kafka sulla spiaggia” e “Norwegian Wood” consegna ad un saggio di qualche anno fa, “L’arte di correre”, le sue riflessioni più introspettive. Un piccolo volume divertente e divertito, semplice ed essenziale, nel quale il grande scrittore giapponese si confessa senza veli e schermi protettivi. Intellettuale e maratoneta, fa lo stesso. Una sola medaglia alla fine da portare appesa al collo. Con due facce complementari e ben integrate tra loro. Liberare la creatività è fatica fisica, esercizio dei limiti, sfida con se stessi. E’ senso della lotta.
Il pensiero non è altra cosa dall’azione, anzi. Un equilibrio costante all’insegna del mens sana in corpore sano diviene balsamo per il nostro spirito. Prospettiva altra. Coraggio in divenire. Nell’epoca delle finzioni reiterate – e delle vite subappaltate ai social – Murakami c’invita a non distogliere lo sguardo dall’esistente. A non mancare una passeggiata vicino al mare, gustare un tramonto invernale, incrociare lo sguardo di una donna. Anche nell’atto di farsi la barba c’è una filosofia, come ebbe a dire qualche anno fa Somerset Maugham. “Voglio pensare ai fiumi, voglio pensare alle nuvole. Ma in realtà non penso a niente. Semplicemente continuo a correre in un silenzio di cui avevo nostalgia, in un comodo spazio vuoto che mi sono creato da solo. E dicano quello che vogliono, ma è una cosa fantastica”. Un manifesto ideale, una suggestione normale. La medicina in grado di ricacciare la tecnica lontano dai nostri desideri più intimi. Creare un interstizio tra quello che ci chiedono gli altri e ciò a cui aneliamo di più. Senza la necessità di genufletterci dinanzi ad un profitto a digiuno di etica. Per liberarci dalle catene, sottrarci dalla cappa asfissiante delle liberta vilipese, serve un surplus di follia. “Non sarei diventato uno scrittore professionista se non mi fossi tenuto in forma”, confessa Murakami. Se non avessi contemplato la sconfitta di una gara persa, il tarlo di una sfida non raccolta, lungo i sentieri della mia crescita personale.
“Ciò che penso – argomenta – è che una volta usciti dalla prima giovinezza, nella vita e necessario stabilire una priorità. Una sorta di graduatoria che permetta di distribuire al meglio tempo ed energia. Se entro una certa età non si definisce in maniera chiara questa scala dei valori, l’esistenza finisce col perdere il suo punto focale, e di conseguenza anche le sfumature (…)”. Noi lettori innamorati di Murakami non potremmo saperlo mai, ma senza le corse mattutine alla periferia di Tokio, il fluire delle stagioni a bagnare e asciugare il sudore, a raffreddare e riscaldare i pensieri, forse capolavori come Kafka sulla spiaggia non avrebbero mai visto la luce. Si corre per scrivere. E si scrive perché l’indomani si possa nuovamente correre. L’altalenante – e mai banale – fluire della vita.