Un dato in aumento rispetto allo scorso anno ma per Teresa Tatullo, avvocato del CAV e vicepresidente di Alzàia ETS, è positivo: “La violenza c’è sempre stata, ora però le donne hanno meno remore a chiedere aiuto. Per affrontare questa emergenza serve un lavoro di rete: fondamentale l’educazione emotiva”
102.
Non è il voto della laurea tanto attesa e sudata in ingegneria biomedica, per Giulia Cecchettin, ma il numero che la identifica all’interno di un orribile elenco: quello delle donne uccise in Italia dall’inizio del 2023, che secondo i dati diffusi dal Viminale e aggiornati al 22 novembre, sono ora 107.
Dato simile, sostanzialmente, a quello del 2022 ma con una (brutta) novità: aumentano i casi di donne uccise dal proprio partner o ex, passando da 53 a 56, mentre sono 88 le donne uccise in ambito familiare.
I DATI NAZIONALI: L’80 % DELLE DONNE DENUNCIA VIOLENZE SUBITE IN FAMIGLIA
Se sui social e a parole siamo tutti a favore della parità di genere, tra le mura di casa emerge il vero volto dell’Italia 2023, fatto di tante donne che smettono di lavorare, soprattutto al Sud, perché la cura della famiglia spetta a loro, di uomini che si vergognano di ammettere di cucinare o di aver perso il lavoro perché il ruolo imposto loro (più o meno dall’epoca preistorica) è quello di capofamiglia, di donne che non hanno indipendenza economica, di rabbia inespressa e celata ad amici e conoscenti, che si scatena in ambito domestico.

Si tratta di situazioni certificate da dati e analisi incrociate di numerosi Enti e realtà a livello nazionale e locale, che spiegano come mai nell’ipocrita Bel Paese, nonostante gli eventi e le campagne comunicative, continuino a crescere i femminicidi e i casi di violenza sulle donne.
Secondo l’indagine Istat le chiamate al numero di emergenza 1522, in Italia, sono passate da 22.553 nel 2022 a 30.581 nel 2023.
Dopo l’uccisione di Giulia Cecchettin le richieste di aiuto sono addirittura raddoppiate, passando da 200 a 400 telefonate giornaliere: in alcuni casi si tratta di genitori che temono per le proprie figlie.
Particolarmente significativo l’identikit delle donne che chiamano il 1522: sono soprattutto italiane, laureate o diplomate e lavoratrici.
Un quadro che sembrerebbe sfatare lo stereotipo della violenza di genere consumata prevalentemente in contesti culturalmente ed economicamente disagiati, a riprova del fatto che si tratti essenzialmente di un problema che coinvolge l’intera società, a tutti i livelli.
L’80% delle richieste di aiuto riguarda violenze fisiche e psicologiche che si consumano nell’ambito familiare: un dato confermato dall’aumento di femminicidi per mano del marito, compagno o ex partner.
“La parola femminicidio – scriveva la compianta Michela Murgia – non indica il sesso della persona uccisa, ma il motivo per cui è stata uccisa”: nell’Italia del 2023, purtroppo, è ancora necessario specificarlo.
TARANTO: AUMENTANO LE RICHIESTE DI AIUTO AL CENTRO ANTIVIOLENZA
Ma qual è la situazione di Taranto?
Secondo quanto ci riferisce il Centro Antiviolenza Sostegno Donna del capoluogo ionico, le richieste di aiuto sono in aumento.
Gli accessi al CAV e allo Sportello intitolato a Federica De Luca e il piccolo Andrea sono passati dai 113 del 2022 ai 129 del 2023.
“Ma questo è un dato positivo – afferma Teresa Tatullo, avvocato del CAV e vicepresidente di Alzàia ETS – perché vuol dire che le donne stanno acquisendo consapevolezza. La violenza non è in aumento, purtroppo c’è sempre stata ma restava nascosta tra le mura di casa: anche a Taranto, infatti, è in ambito domestico che avviene la maggior parte degli abusi fisici e psicologici sulle donne. Il fatto che gli accessi ai nostri punti di ascolto aumentino significa solo che sempre più donne trovano la forza di reagire e chiedere aiuto, anche grazie agli eventi e alle campagne di sensibilizzazione svolte in questi anni”.
L’IMPORTANZA DELL’EDUCAZIONE EMOTIVA

nelle ‘Nchiosce 2023 a Grottaglie
Come dicevamo prima, il problema della violenza sulle donne è essenzialmente culturale e riguarda l’intera società, senza distinzione di sesso, fascia d’età e grado socio-economico.
Da più parti si invoca l’introduzione nelle scuole di una nuova materia: l’educazione emotiva, che insegni sin da piccoli a gestire nella maniera corretta le emozioni, in particolare la frustrazione per un rifiuto, la delusione per la fine di una storia ecc.
Il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, ha avanzato la proposta di introdurre nelle scuole superiori un piano di educazione sentimentale, nel tentativo di colmare una lacuna che relega l’Italia dietro alla maggior parte delle nazioni europee: la Svezia, ad esempio, ha introdotto nelle scuole la “Sexuality and Relationship education” come materia obbligatoria dal 1955 e già dagli ordini di primo grado.
NESSUN “MOSTRO”: IL FEMMINICIDA NON È’ UN ECCEZIONE
Lo avevamo già affermato in occasione dell’omicidio della giovane Giulia Tramontano e del bimbo che portava in grembo per manio del compagno Alessandro Impagnatiello: il monstrum, l’eccezione, non esiste.

Lo ha ribadito Elena Cecchettin, sorella di Giulia, nei giorni successivi alla scoperta del femminicidio: i “mostri sono i figli sani del patriarcato”.
“Gli abusi sulle donne sono frutto di una concezione normalizzata della violenza che permea ormai tutta la società – ha commentato l’avvocato Tatullo – per questo è difficile estirparla: per molte persone è invisibile, semplicemente il problema non esiste. Si minimizza, si banalizza, si giustifica. Per tantissime donne che ci chiedono aiuto è del tutto normale che il proprio compagno di vita le tratti in quel modo: solo al termine di un lungo percorso prendono finalmente coscienza di quanto sia sbagliato. Ci riferiscono che è come se cadesse dai loro occhi un velo, permettendo di vedere davvero la persona che avevano accanto per quello che è”.
Questa normalizzazione della violenza fisica e psicologica sulle donne rischia di remare contro le speranze riposte nelle nuove generazioni: parlare di educazione emotiva a scuola e trovare, poi, un clima di sottili abusi psicologici o manifeste violenze a casa potrebbe essere una situazione più comune di quanto possiamo immaginare. Per questo è importante coinvolgere anche le famiglie nei progetti di rieducazione alla emotività, individuando i contesti a rischio.
UN NUOVO MOVIMENTO?
Complice la vicinanza cronologica tra il toccante film di Paola Cortellesi intitolato “C’è ancora domani”, l’omicidio di Giulia Cecchettin e il 25 novembre, sembra che qualcosa si stia finalmente muovendo: sono tantissimi, infatti gli eventi e le manifestazioni organizzati per dire no alla violenza sulle donne.
Bellissima anche l’iniziativa degli alunni della scuola Moro-Leonida di Taranto, che hanno realizzato una coreografia diventata virale sulle note del brano di Ermal Meta, “Vietato morire”: un gesto che conferma la grande fiducia riposta nelle nuove generazioni.

“Sembra che ci sia grande fermento in questi giorni – ha dichiarato la Tatullo – e questo è davvero positivo. Non dobbiamo commettere l’errore di pensare che la violenza sulle donne si combatta una volta l’anno: non a caso, lo slogan della manifestazione che terremo oggi a Grottaglie è 25 novembre tutti i giorni”.
Ancora troppo pochi però gli uomini che prendono posizione chiara in merito, come se la violenza sulle donne fosse un problema delle donne che la subiscono o potrebbero subirla e non di chi la commette.
“Credo che sia anche un problema di cittadinanza attiva – ha concluso l’avvocato Tatullo – perché non possiamo più chiudere gli occhi davanti a scene di soprusi e violenze: ognuno di noi ha il dovere di agire, molte vittime di femminicidio erano essenzialmente sole”.
Distruggere tutto, fare rumore, ballare, protestare e manifestare.
“Ma tutto questo non durerà per sempre – ha dichiarato il padre di Giulia, Gino Cecchettin – voglio che tutti i giorni ciascuno guardi la propria vita e faccia un esame di coscienza, pensando a cosa potrebbe fare per migliorarla verso la persona amata, gli amici e soprattutto le donne”.
Per affrontare concretamente questa emergenza, insomma, è necessario un lavoro di rete che coinvolga Governo e istituzioni locali, forze dell’ordine e associazioni del territorio, scuole e famiglie, fino al singolo cittadino che ha il dovere di non girarsi dall’altro lato.
La “rivoluzione”, insomma, è in atto: ma tocca a ciascuno di noi fare attivamente la sua parte per fare in modo che il tutto non si esaurisca nella giornata del 25 novembre.