Al Forum ‘Fabbrica Futuro’ a Bari, si è discusso sul ruolo fondamentale delle aziende a Taranto nell’industria pesante e nelle nuove sfide del mercato globale. Dichiarazioni del presidente Nicola Convertino e di Federico Pirro, professore di Economia dell’Industria all’Uniba
In occasione del forum Fabbrica Futuro, tenutosi a Bari il 8/11/24, le aziende dell’indotto tarantino rappresentate dall’Ing. Nicola Convertino, presidente di AIGI ed il Prof. Pirro, professore di Economia dell’Industria all’Università di Bari, hanno, in un consesso nazionale, hanno rappresentato quelle che sono le potenzialità delle aziende dell’indotto tarantino e le sfide di sviluppo che le attendono nei prossimi anni.
Nella ormai quotidiana polemica fra ambientalisti da un lato e Associazioni datoriali e Sindacati dall’altro sulle problematiche connesse alle attività del Siderurgico, qualche esponente dei movimenti ecologisti esprime a volte valutazioni ad avviso degli scriventi molto riduttive sulle aziende dell’indotto, non considerate di standing tecnologico elevato, o anche, come accade da tempo, trasformatrici di acciaio, come se fossero una sottospecie di imprese neppure meritevoli di essere prese in considerazione da chicchessia.
Con questo intervento pertanto si vuole richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sulle oltre 100 aziende meccaniche ed impiantistiche dell’indotto di primo livello, attivamente impegnate ogni giorno nell’Acciaieria, nella raffineria dell’Eni, in Arsenale, nella Leonardo a Grottaglie e in qualche altro grande stabilimento locale – come ad esempio quello della Vestas Blades – non prima però di aver ricordato che esiste anche un indotto di secondo e terzo livello. Esso è costituito da tante Pmi di trasporto su gomma e su rotaia, di forniture di servizi vari (dalla ristorazione alle pulizie industriali), di servizi professionali (commercialisti, ingegneri, avvocati, etc.), e di banche, oltre naturalmente al vasto mondo imprenditoriale che gravita sul porto e legato alle movimentazioni di navi in arrivo e in partenza con materie prime e beni finiti, e ai centri di formazione universitaria e professionale che preparano risorse umane, destinate in numero crescente ad essere assunte nei siti produttivi del territorio.
Insomma, il cluster di imprese dell’indotto a Taranto e in provincia è molto vasto, territorialmente ramificato, diversificato per settori e con una dimensione economica complessiva non facilmente quantificabile proprio per la sua varietà – che rende, com’è intuibile, non facilmente acquisibile la raccolta di dati certi sui singoli fatturati – ma che, per il solo settore impiantistico e meccanico, ammonterebbe secondo una valutazione prudenziale mediamente a circa 300 milioni annui per le società interessate, con un numero di addetti di circa 3.500 unità, riferite – lo si precisa nuovamente – solo alle società impiantistiche e meccaniche di manutenzioni e di montaggi: naturalmente, questi numeri variano a seconda dell’entità dei lavori commissionati nell’acciaieria, durante le ‘fermate’ in raffineria, o nel capannone della Leonardo a Grottaglie o nel cantiere dell’Arsenale.
Le tante società di subfornitura delle grandi fabbriche siderurgiche, petrolchimiche, cantieristiche ed aeronautiche localizzate nell’area industriale del capoluogo e nel suo hinterland sono in realtà un universo composito di unità produttive di varie dimensioni, diversificate al loro interno per capacità realizzative, solidità finanziaria, fatturati, parco mezzi e numero di collaboratori, ma non possono in alcun modo essere assimilate in una valutazione negativa, o anche solo schematicamente riduttiva del loro operato.
In realtà, sia chi occupa centinaia di addetti qualificati e sia chi ne impiega solo qualche decina, è chiamato ad operare ogni giorno a Taranto su impianti di processo fra i maggiori e più complessi a livello internazionale, sui quali non tutte le aziende che lo vogliano possono intervenire, perché sono richieste dalla committenza precise qualifiche, molteplici certificazioni, buone referenze, personale ben addestrato, tecnologie avanzate con cui operare, prezzi altamente competitivi ed anche capacità di ‘resilienza’ finanziaria.
Inoltre, e sempre più spesso nell’ultimo travagliato decennio, imprese locali di subfornitura sono state chiamate ad acquisire capacità di progettazione anche di dettaglio di impianti nuovi o in fase di revamping, così come a condividere notevoli esperienze in assemblaggi e montaggi per interventi non di rado di grande complessità, senza i quali anche le fabbriche maggiori non potrebbero produrre. E in varie officine delle società di subfornitura, spesso ospitate in vasti capannoni localizzati nella zona industriale di Taranto o in Comuni dell’entroterra, è possibile verificare l’impiego di macchine a controllo numerico, pressopiegatrici, saldatrici e tutto quanto serve anche a sagomare l’acciaio in grandi volumi.
Molte delle Pmi locali dunque non hanno fatto o non fanno solo manutenzioni ordinarie e straordinarie sugli impianti, ma sempre più spesso con i loro collaboratori e i loro parchi mezzi sono chiamate dagli uffici acquisti delle grandi imprese a realizzare e installare sezioni particolari delle tecnologie che hanno già fortemente mitigato o azzerato le emissioni nocive di specifici segmenti dei vari processi di produzione, soprattutto nel Siderurgico.
Pertanto un certo numero di aziende dell’indotto – anzi dei vari segmenti dell’indotto presenti su Taranto – si è dovuto attrezzare con uffici tecnici, tecnologie e risorse umane adeguate alle richieste della committenza con costi a volte molto elevati, per sostenere i quali si sono avviate anche onerose operazioni con il mondo bancario o fruendo di incentivi pubblici. Ed è appena il caso di ricordare che ad operai, tecnici e dirigenti quegli imprenditori assicurano, sia pure negli ultimi anni con difficoltà e ritardi, la retribuzione mensile, piuttosto che garantire la remunerazione dei capitali investiti nella loro azienda.
Ma esiste un altro aspetto riguardante l’attività del cluster delle imprese dell’indotto siderurgico e della raffineria che è sottovalutato, o peggio del tutto ignorato da ambientalisti e in qualche caso anche da osservatori più qualificati: e tale aspetto è riferito al processo di diversificazione dei prodotti o della propria clientela che ha portato già da alcuni anni le imprese più strutturate ad affacciarsi con successo su altri mercati nazionali o addirittura all’estero.
Vi sono infatti società da oltre 50 milioni di fatturato che lavorano in Francia per la costruzione di reattori nucleari sperimentali; altre che sono entrate nel polo italiano della raffinazione di San Nazzaro de Burgondi nel Pavese; altre ancora che hanno lavorato sugli impianti estrattivi in Basilicata, partecipando alla costruzione a Corleto Perticara del Centro Oli di Tempa Rossa per Total, Shell e Mitsui. Forniture di carpenterie pesanti qualificate sono poi state commissionate ad imprese di Massafra operanti con attrezzature idonee a realizzarle.
Si consideri inoltre che qualche azienda impiantistica tarantina – sorta e sviluppatesi nel corso degli anni grazie ai grandi impianti locali – da tempo si è affermata come main contractor presso committenti come Eni, Enel e Cementir a livello nazionale, e tornando persino a costruire a Taranto alcune piattaforme off-shore che sino al Duemila produceva solo la Belleli.
Diverse aziende impiantistiche inoltre collaborano con l’Università Aldo Moro e il Politecnico e la sua II Facoltà di Ingegneria, localizzata nel capoluogo ionico, e con altri centri tecnologici come il Cetma di Brindisi, prestigiosa struttura di ricerca applicata partecipata dall’Enea.
Si può pertanto registrare la consapevolezza di un numero crescente di imprenditori del Tarantino, al momento ancora minoritario però, di dover diversificare prodotti e/o mercati: una ragione in più allora per tutelare e difendere, in esclusive logiche di mercato ma anche di piena ecosostenibilità il grande stabilimento siderurgico – che resta anche la maggiore fabbrica manifatturiera d’Italia con i suoi oltre 8.000 addetti diretti – cui è collegato un patrimonio collettivo di capacità realizzatrici di Pmi, con i loro macchinari e le loro professionalità, la cui scomparsa contribuirebbe a devastare economicamente il territorio.
Infine si deve evidenziare che il cluster dell’indotto tarantino guarda con grande interesse al nuovo orizzonte di opportunità rappresentato dall’ormai avviata ZES unica nell’Italia meridionale – finalizzata a promuovere in tempi rapidi nuova industrializzazione nelle sue regioni – e al Piano strategico che ne ha fissato con chiarezza le linee di crescita.
Insomma, ai cultori locali dell’antindustrialismo in servizio permanente effettivo bisogna dire con chiarezza che gli operatori dell’indotto, e non solo quelli che lavorano per l’Ilva, non sono affatto ‘avvitatori di bulloni’ o ‘venditori di manodopera’ come a volte si afferma: chi lo pensasse dimostrerebbe (colpevolmente) di non conoscere in alcun modo una realtà molto più complessa.
Per tali ragioni riteniamo che si debba portare più rispetto, o almeno qualificata attenzione a queste aziende. Si ricorda inoltre agli antindustrialisti che quelle imprese non si sentono (e non sono) seconde a nessuno nel propugnare e operare quotidianamente per uno sviluppo territoriale sempre più ecosostenibile che deve continuare a trovare però nel grande apparato industriale territoriale la sua forza motrice.
E proprio per tale ragione è facile constatare che anche gli imprenditori dell’indotto con i loro addetti si stanno opponendo con tutta la loro forza culturale e scientifica a chi continua a puntare sulla chiusura dell’Ilva. Per difendere il lavoro dei loro collaboratori e la vita quotidiana delle loro famiglie, il futuro dei cittadini del Tarantino e soprattutto quello delle giovani generazioni.
Nicola Convertino – Presidente Aigi
Federico Pirro – Università di Bari – Cesdim