Per l’Associazione delle aziende dell’indotto occorre trovare una soluzione che aiuti lo stabilimento siderurgico e la città ionica
“L’ex Ilva è un paziente terminale per quanto molto riluttante a tirare le cuoia. Festeggiamo quest’anno l’11-esimo anno di agonia cominciata, come tutti sanno, nel lontano 2012 con il sequestro degli impianti alla famiglia Riva. Attenzione però, il malato non è solo, e per giunta è anche infettivo; ad essersi ammalato e ad essere in agonia assieme all’ex ILVA, infatti, c’è un intero indotto fatto di piccole e medie imprese che come brave infermiere negli anni hanno accudito lo stabilimento continuando a prestare le loro cure (forniture) spesso illuse da governi pifferai che disegnavano poco più avanti traguardi di risanamento e rilancio dello stabilimento ad ogni vigilia di elezione”. – Afferma così in una nota l’Associazione Indotto Adl e General Industires.
“Ma, cura oggi, cura domani, ad un certo punto le forze (finanze) vengono a mancare perfino all’infermiera più solerte, allora anche le aziende dell’indotto si ammalano irrimediabilmente e giù cure da cavallo fatte di cassa integrazione, licenziamenti e fallimenti (morte) come è normale che accada ai malati gravi. In agonia è anche la città di Taranto i cui cittadini non contano più su stipendi solidi e bancabili e che pertanto sono costretti a tirare la cinghia. Tira oggi e tira domani, i negozi del centro chiudono, i concessionari di auto non vendono, e piano piano la malattia si propaga anche su chi pensava di essere immune perché vendeva maglioni griffati…e cosa c’entrano i maglioni griffati con la crisi dell’acciaio? C’entrano, eccome se c’entrano… Ora, mentre lo stabilimento è ormai sotto la tenda ad ossigeno, abbiamo nuovi medici che si affollano al suo capezzale, propongono cure di ultima generazione, alcune dai nomi oscuri (come spesso sono i termini dei medici) DRI, Idrogeno da elettrolizzatori etc. Quasi tutti, come quando siamo davanti ai luminari della medicina, annuiamo fingendo di capire, condividiamo la cura proposta, ripetiamo ad amici e parenti che la cura funzionerà e così, come fa un ammalato che ha bisogno di ancorarsi a qualche certezza (anche se improbabile) la notizia della cura che risolverà tutti i problemi diventa virale e tutti si convincono che è l’unica strada, quella giusta e per mesi si fanno progetti e un gran parlare della cura di ultima generazione, il DRI,… l’idrogeno…” – Sottolineano – Ma un bel giorno, i medici che si affollano al capezzale del malato decidono che per quel tipo di malattia di cui è ammalato lo stabilimento, il DRI non trova applicazione (o forse è semplicemente troppo costoso o troppo impegnativo).
Di fronte ai parenti tutti che aspettano nel corridoio, il luminare, appena finita la visita, rassicura, lancia nuove ipotesi e dice -se il paziente non reagirà, allora opereremo con un intervento sicuramente risolutivo.- Qualcuno sommessamente dietro la folla di parenti chiede: – ma perché non lo operiamo subito?- . -Eh no!- è la risposta, -attendiamo 20, o anche 30 giorni, potrebbe essere che le cure finora somministrate facciano effetto! Ma voi state sereni e se trascorsi i 30 giorni le cure non avranno avuto effetto sarò io stesso ad operare il paziente- afferma solenne il luminare mal celando la speranza che magari il paziente passi a miglior vita quella stessa notte”.
“Poi la folla si apre in due e i medici scorrono uno ad uno tra gli sguardi inebetiti dei parenti. La sera, qualcuno fa una visita a qualche statua votiva accendendo un cero. Tutti, stanchi e sfibrati dai 10 anni di agonia del parente ammalato si rassegnano al peggio e cominciano a sentirsi sottovoce le tipiche frasi – beh, è brutto da dirsi, ma al punto in cui è sarebbe meglio morisse subito, sai… per non soffrire. – Concludono – “Attenzione però, non sempre la storia finisce con una comoda comune rassegnazione e c’è sempre il parente venuto da fuori, quello che ha studiato e che sa come vanno le cose del mondo che si para davanti alla porta, ferma il medico, a volte anche con modi bruschi, e rompe d’un tratto gli effetti dell’anestesia che, sapientemente somministrata, aveva sopito le menti delle masse. La storia ce lo insegna…”