sabato 19 Aprile 25

Arvedi chi si rivede

Fuori Mittal, dentro il gruppo siderurgico che fa capo al cavaliere Giovanni Arvedi. Il governo lavora a questa soluzione, nonostante Carlo Calenda e i “regali” contrattuali offerti a Taranto nel recente passato. Via anche la Morselli. E con lei buona parte dell’indotto locale. I ventriloqui pare non essere molto graditi al presidente della Cremonese

C’è molto del passato recente nel futuro dell’ex Ilva. Di quello che poteva essere e non è stato. Via Mittal, dentro Arvedi. Questa è l’idea alla quale lavora sottotraccia il Governo Meloni, per il tramite del ministro al Made in Italy: Adolfo Urso. L’operazione è tutt’altro che facile. Anzi. Il cavaliere Giovanni Arvedi ha già dato la propria disponibilità ad essere parte attiva dell’operazione. Prima, però, bisognerà aumentare le quote azionarie attualmente in capo ad Invitalia. Bilanciare, insomma, la governance del polo siderurgico tarantino a favore dello Stato. Il passaggio successivo sarà quello di provare a rivedere i termini del contratto che, al momento, attribuisce un potere di veto a Mittal circa l’eventuale ingresso di nuovi soggetti privati nel capitale sociale. Scalate queste due ripide salite, una parte delle nuove azioni acquisite da Invitalia saranno cedute al gruppo Arvedi. Non più del 30%, comunque, dell’intero pacchetto di controllo dell’impresa siderurgica. L’imprenditore di Cremona, in un tempo non molto lontano da quello attuale, aveva già avanzato la propria candidatura per rilevare l’industria che fu dei Riva. Con una società denominata AcciaItalia. Nella stessa figuravano anche Jindal, Leonardo Del Vecchio e Cassa Depositi e Prestiti. Sappiamo tutti come andò a finire. Quel campione del riformismo alle vongole, che risponde al nome di Carlo Calenda, all’epoca ministro dell’Economia, aggiudicò l’ex Italsider all’altra cordata in campo. Quella composta da ArcelorMitta e da Marcegaglia. I risultati di questa illuminante scelta sono sotto gli occhi di tutti: produzione dimezzata, relazioni industriali inesistenti, operai gettati vita natural durante nel girone dantesco della cassa integrazione, prospettive future pari a zero, rispetto per il prossimo meno di zero. Arvedi, invece, proprietario anche di AsT (Acciai speciali Terni) guida un gruppo che produce, complessivamente, 6 milioni di tonnellate di acciaio all’anno. Con una forza-lavoro pari a 6600 dipendenti e un fatturato annuo che supera, mediamente, i 7,5 miliardi di euro. Presiede, inoltre, la squadra di calcio della Cremonese, finanzia giornali e tv della sua città, contribuisce a tenere in vita la centenaria tradizione liutaia della cittadina lombarda. Altra pasta rispetto alla pezzenteria filantropica, all’inconsistenza culturale, della piccola e (presunta) grande imprenditoria esistente a queste latitudini. Con Arvedi verrebbe giù l’intero indotto locale. Polverizzato. Asfaltato come neanche Renzi seppe fare con le mummie e i cadaveri del verbo pidiota. Quando si va dietro a presidenti di associazione ormai in pensione, quando si diventa ventriloqui del Morselli-pensiero, quando il libero mercato si pensa di poterlo imbrigliare nelle consorterie di vecchio e nuovo conio, prima o poi il conto ti verrà chiesto. Arvedi chi si rivede. Il passato che torna. Solo che questa volta potrebbe colorarsi con le suggestioni del futuro.  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Articoli Correlati

Il Presidente della Cassa Edile nominato Coordinatore delle Casse Edili industriali pugliesi

Unanime la designazione del Presidente della Cassa Edile di Taranto alla guida regionale: riconosciuta la sua visione strategica Angelo Bozzetto, una vita nel sistema dell’edilizia,...

Son dazi amari

di Erasmo Venosi La Cina risponde a Trump. Di fatto si stanno gettando le basi per un’economia di guerra. Protezionista. Con le lancette della Storia...