lunedì 2 Dicembre 24

L’economia non sia più una scienza triste

Intervista al professore universitario di strategia politica, Antonio Gambino. “Taranto città bellissima che non volge abbastanza lo sguardo al sol dell’avvenire”

Rendere felice la scienza triste. Antonio Gambino, economista, professore universitario di strategia politica, coltiva il dono della sintesi. Considera certe analisi barocche, superficiali, un po’speciose alla fine, dannose tanto quanto un’inflazione a doppia cifra. “In fondo – argomenta – la nostra ‘questione meridionale’ è anche conseguenza logica, aggancio ideale di un uso sbagliato delle parole”.

Uso sbagliato delle parole? Originale modo di far discendere le ragioni alla base dei ritardi economici e socio-culturali del Sud Italia.

“Vittgenstein, il padre della filosofia del linguaggio, diceva: ‘Su ciò di cui non si è in grado di parlare, si deve tacere’. E invece si continua a parale e, in talune circostanze, anche a straparlare. Un vociare a vanvera, improduttivo, fastidioso. La porosità del nostro sistema economico, specie al meridione, ha due poli di debolezza: il depauperamento del cosiddetto capitale umano e l’assenza di una vera cultura d’impresa”.

E le sembra poco?

“Certo che no, ma non possiamo più sbagliare le analisi se non vogliamo, poi, mancare del tutto l’appuntamento con la sintesi. La nostra è un’inflazione importata, perché siamo un Paese di trasformazione. Negli Stati Uniti, invece, l’inflazione è endogena, scatenata da processi produttivi autoctoni”.

Quindi?

“L’Italia, e il suo Mezzogiorno, potranno salvarsi, tornare a crescere, allontanare insomma le scure della recessione, solo investendo sul sistema delle piccole e medie imprese. Solo, cioè, tornando alla propria unicità produttiva e culturale. I nostri artigiani realizzano le cose più belle al mondo all’ombra di un campanile…”.

Procediamo lenti, e in ordine sparso, sul Pnrr. Per essere il Paese che beneficerà del maggior quantitativo di aiuti finanziari non mi sembra una grande notizia.

“I soldi non basta incassarli, bisogna saperli spendere. Bisogna saper predisporre i progetti. Farlo con intelligenza e dinamicità. Quando mi sono occupato, anni fa, del metanodotto da costruire in Algeria, fondamentale per l’approvvigionamento energetico di cui tanto si parla oggi, proposi ai comuni italiani interessati dall’importante infrastruttura di consorziarsi tra loro. Di far nascere bacini di utenza. Solo in questo modo avrebbero potuto supplire alle loro debolezze organizzative e professionali. Credo che con Il Pnrr andrebbe perseguita la stessa logica”.

Perche Taranto non riesce ad affrancarsi dalla monocultura produttiva dell’ex Ilva?

“Sono stato diverse volte a Taranto per lavoro, ho diversi amici che vivono nel capoluogo pugliese. La città è bellissima, una vera capitale del mediterraneo. Il turismo crocieristico, aggiunto a quello convegnistico, potrebbero rappresentare se ben sfruttati un’importante grandezza del pil cittadino. Così come la sanità d’eccellenza, quella che si suole definire economia bianca. Il passato non passa, buono o brutto che sia, quando si manca l’appuntamento con il futuro. Mi sembra che Taranto non coltivi abbastanza il sol dell’avvenire. Un vero peccato. Uno spreco dai tratti imbarazzanti”.

Le nostre classi dirigenti sono in caduta libera. Studiano poco, propongono meno. Difficile governare la complessità con l’improvvisazione.

“La dittatura del fallocefalo ha mietuto, in effetti, molte vittime negli ultimi decenni di storia patria. Non mi faccia aggiungere altro, però. Sono pur sempre un accademico. E, alle mia età, certe espressioni non andrebbero utilizzate”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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