martedì 21 Gennaio 25

A febbraio ogni scherzo vale

C’è una data iscritta nell’agenda della politica locale. Non pronunciata, poco pronunciabile. Superato il prossimo 24 febbraio, bisognerà tenersi stretto il sindaco di Taranto sino alla fine di questa legislatura. Prevarrà, in ultimo, l’interesse personale o il bene pubblico? La Storia osserva in attesa, non nutrendo alcuna simpatia per noi

Il 24 febbraio prossimo come data del discrimine. La cerniera lampo di temporali senza tuoni. Il mese corto delle decisioni lunghe. E di una cesura senza appello da incastonare, eventualmente, nell’andamento lento della politica tarantina. Nel mese che festeggia il Carnevale, le maschere andranno tolte. E le figure dovranno divenire figurine, figuranti di se stessi. Continuare con Melucci sino alla scadenza naturale della legislatura, fissata per il 2027? Determinare lo scioglimento anticipato del Consiglio e votare già la prossima Primavera? Magari accorpando comunali e regionali con l’election day? L’interrogativo amletico viaggia tra gli interrogativi e serpeggia sottotraccia nel morente dibattito cittadino. Riguarda le opposizioni, di destra e di sinistra, e sparuti settori della raccogliticcia maggioranza domiciliata a Palazzo. Premesso che nessuno vorrebbe andarsene a casa anzitempo – e rinunciare ai significativi indennizzi lievitati con il Governo Draghi – il tema resta di stretta attualità. Sulfureo alla stregua di certi personaggi dal tocco sinistro.

Adesso o mai più, insomma. Se il bene della città, ormai allo sbando, sporca, senza progetto, appesa ad una quotidianità stantia, privatizzata nei diritti, sbeffeggiata nell’amore calcistico, social e sempre meno sociale, schiava di numeri legali claudicanti, fanalino di coda di tutte le classifiche nazionali, conta più del proprio portafogli bisognerà essere conseguenti. E far accomodare Melucci fuori dalla Storia che mai l’ha realmente contemplato. In caso contrario, se il bonifico a fine mese fosse irrinunciabile, se la possibilità di essere rieletti in Consiglio comunale finisse con il somigliare a certe foglie d’autunno sugli alberi, qualora le candidature al futuro Consiglio regionale non apparissero più cosi certe, tanto da tenersi stretti il posto nell’assemblea cittadina, perché il meglio è nemico del bene, nell’eventualità che la politica altro non possa essere che un posto di lavoro non incontrato nella vita di tutti i giorni, allora diventerebbe inutile qualsiasi discorso. Meglio chiuderla qui, rassegnarsi all’inerzia di talune condotte, all’irrinunciabilità della modestia degli ultimi che si ritengono i primi. Tenersi Melucci come certe tossi notturne che non vogliono passare nonostante lo sciroppo. E rassegnarsi all’evidenza: alla parola che si fa fatto; e al fatto che si fa parola.

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