Taranto è come se fosse affetta della sindrome di Clive Wearing, musicologo britannico, cui un’encefalite virale indusse l’incapacità di ricordare il passato e di pensare il futuro. Siamo condannati a vivere in un eterno presente. Schiavi del ‘pacta sunt servanda’ tra la politica e certa stampa, che sopravvive grazie ai contributi statali per l’editoria. Va scritto che tutto va bene anche se molto va male
Siamo, ormai, alla tirannia dell’unanimità. Al tutti assieme al tutto. Al rumore bianco di certi silenzi prolungati. Suoni disturbanti utili nel distrarre la realtà. Confondere i sensi. Maramaldeggiare con la verità. Taranto è emblema di questo schema. Schiava di un accordo che non conosce, tranne rarissime eccezioni, alcun dis-accordo. Appiattita alle idee del signore di turno. Ruffiana nella postura. Dalla dignità rachitica. Priva di critica, orfana di analisi. Per certa stampa, quella che sopravvive grazie ai contributi statali per l’editoria, quello tarantino è un popolo felice. Tra i più felici – e spensierato – al mondo. Nonostante manchi il lavoro, non esistano i servizi, avanzi l’inverno demografico, si scappi via dopo il diploma per non farvi più ritorno, Istat ed Eurostat ci releghino all’ultimo posto per la qualità della vita. Ma la politica, e l’informazione prezzolata, affermano il contrario. Cambiano le carte sul tavolo. Recitano a soggetto, fedeli al pacta sunt servanda. Agli accordi da rispettare una volta che si sono sottoscritti. Al cane che segue il padrone non volendo – e potendo – esercitare più alcuna funzione di guardia. Di controllo sul potere e i suoi esecutori. Mancando l’anticipo sul dipanarsi degli eventi.
Taranto è come se soffrisse di una forma acuta della sindrome di Clive Wearing, musicologo britannico cui un’encefalite virale indusse l’incapacità di ricordare il passato e di pensare il futuro. Amnesia bilaterale profonda, reciterebbe la diagnosi, che impone di sopravvivere nel presente permanente. La politica silenzia la stampa, la stampa si lascia silenziare senza colpo ferire. La critica si autocensura. La diversità si accompagna alla gogna. L’eccezione non conferma la regola. All’unanimità, Taranto sprofonda in un mutismo rumoroso. Felicemente omologato.