sabato 26 Aprile 25

CARCIOFIGLI SOTT’ODIO

La sinistra orfana di un pensiero, di un’idea altra del presente, declassa la sua storia affidandosi a pseudo intellettuali del piffero. Estensori di concetti remunerati con il gettone di presenza serale. La destra agita le paure; la sinistra si plasma nella paura come dato immodificabile

La sinistra dei Carciofigli sott’odio non tornerà più a vincere. Si vota al rancore perché impossibilitata nel saper offrire altro. Suggella il suo 25 Aprile, trasmigrando dalla Resistenza alla tracotanza. Opera danni incalcolabile al Paese, relegandolo – e relegandosi –  in un eterno passato. Un tempo trascorso invano, digiuno d’identità non declamate, avaro di progetti futuri. Caduto il Muro di Berlino, spezzati gli abbracci socialdemocratici tra capitalismo e democrazia, il progressismo insegue lo schema della riserva indiana. La chiusura a prescindere, ermetica, tra il proprio mondo, il Paese nel Paese secondo un pronunciato vaneggiamento assai in voga nell’ideologia comunista, e tutto il resto. Una vocazione suicida; utile, semplicemente, a perpetrare pseudo intellettuali del piffero, non certamente di conforto alle società contemporanee con i loro dilemmi insoluti.

Leo Longanesi, i suoi carciofini sott’odio, antesignani dei vari Gianrico Carofiglio e Gad Lerner, emblemi di un pensiero che guadagna forma dopo aver inserito il gettone serale nel jukebox del proprio portafogli, colsero nel segno. L’ascesa, nel nostro Paese, della categoria dell’odio come unica, vera concettualizzazione dello spirito. Una sorta d’ideologia immarcescibile, resistente al tempo, renitente al confronto scevro da condizionamenti interessati. Questa sinistra, a suo agio nei salotti televisivi, e sempre più a disagio dinanzi ai problemi della gente comune, rescisso il legame con il popolo, imborghesitasi nel rivendicare diritti civili sprovvisti di tensioni (e aneliti) sociali, è un danno. Un problema dalla difficile soluzione. Al pari di una destra ferma al palo del sempiterno trittico, abusato ed equivoco, del “Dio, patria e famiglia”.

Se la destra agita le paure: del migrante, del diverso, è persuasa dal fascino mefistofelico della tecnofinanza, è nemica giurata della critica a mezzo stampa, accetta malvolentieri la divisione dei poteri come architrave di una democrazia liberale, la sinistra si plasma nella paura come dato immodificabile. Come rinuncia iniziale nel saper costruire un’idea altra di presente. Definendo – e certificando – la propria impossibilità nel poter divenire forza di governo in un tempo tumultuoso. Non le resta che affidarsi ai Carofiglio e ai Lerner: epigoni del pensiero malanimo, replicanti seriali – e serali – di  saccenteria urticante, maestri ipocriti di una docenza senza cattedra. La malafede, per dirla con le parole di Sartre, è una specifica forma di autoinganno. Povera sinistra, prigioniera consapevole dei suoi carciofigli sott’odio.

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