Leggere l’intervista di ieri su “la Repubblica Bari” è l’esemplificazione di come, certa sinistra arcobaleno, si sia consegnata da tempo ad una politica daltonica. Parolaia ed inconcludente. Noi a Taranto stiamo ancora leccandoci le ferite sull’operato di governo del fu presidente Vendola
Far pontificare Nichi Vendola sui destini prossimi venturi della sinistra pugliese, come fatto ieri attraverso un’intervista raccolta da Davide Carlucci per la Repubblica Bari, è come leggere un libro strappato. Noioso. Baroccheggiante senza la grazia idiomatica di un Vitalino Brancati. Pieno di omissioni; di cancellature mal riuscite che, reiterate, bucano i fogli e disperdono i caratteri. Gravido d’iperbole linguistiche spacciate per verità assiomatiche. Non coltiva il dubbio cartesiano un certo progressismo con l’orecchino: caustico verso gli altri, distratto – e indulgente – per se stesso. Doppio, di una doppiezza che si taglia a fette. Come certi panetti fatti crescere nella cesta con il lievito madre dell’ipocrisia. Di quell’ambivalenza che stride con il buon gusto. Noi a Taranto, a distanza di anni, ci lecchiamo ancora le ferite sull’operato di governo del fu presidente Vendola. Specie per quel che concerne la sua idea di politiche ambientali e modelli industriali. E consideriamo certe telefonate intercorse con Girolamo Archinà, pace all’anima sua, tutto fuorché una prassi di buona politica. “Di una forza credibile, pulita – il virgolettato è d’uopo – , cuore pulsante di quella stagione alla quale non a caso è stato dato il nome di Primavera (…)”.
Con i cambiamenti climatici imperanti, la precaria tenuta dell’equilibrio ecologico, il collega di Repubblica avrebbe dovuto ricordare a Nichi da Terlizzi che le mezze stagioni non esistono più. E che, la Prima Vera grana ad un centrosinistra pugliese che non fosse solo esercizio retorico, contenitore che si è perso per strada il contenuto, purismo deficitario di purezza, Notte della Taranta tutto l’anno, fu proprio Vendola ad infliggerla. Consumandosi – e consumandoci – nella variante arcobaleno di una politica riscopertasi daltonica. Leggendo l’intervista di ieri mi è tornata alla mente una vecchia distinzione operata da Norberto Bobbio sulla destra e la sinistra. “La prima – diceva il filosofo torinese – tende a stringere. La seconda, invece, è impegnata ad allargare”. Per una serie di ragioni. Per supplire al differenziale elettorale che, ai nastri di partenza, la vede soccombente rispetto alle forze dell’altro campo. Per coniugare istanze diverse sotto lo stesso ombrello programmatico. Perché riformismo e massimalismo smettano di litigare inutilmente. Opportunità, queste, possibili (e necessarie) ad una sola condizione. Si smetta di ascoltare Nichi Vendola. Cattivi maestri.