Compleanno senza giochi d’acqua per la Concattedrale voluta da Monsignor Motolese e progettata da Gio Ponti. Un anniversario anonimo, bagnato come certi deserti assolati. Vivo al pari dell’acqua stagnante. L’ignavia tarantina è pari soltanto alla sciatteria della sua politica
Manca l’acqua alla (con)cattedrale nel deserto di Taranto. I rubinetti delle sue fontane sono a secco da circa 8 mesi, un tempo abbastanza lungo perché i pozzi possano prosciugarsi – e finanche avvelenarsi. Vittime di una crisi idrica mordace e blasfema. Irrispettosa di Dio, caustica con la religiosità degli uomini. Laicamente indisponente. E’ andata perduta la forma (dell’acqua) e si continua a deturpare la sostanza nella città conosciuta nel mondo per averne due di mari. Diversamente bagnata – ed egualmente riarsa – da gestioni amministrative aride, rinsecchite. Prosciugate da una prassi politica votata alla sciatteria. Neanche gli anniversari – lo scorso 6 dicembre, l’opera voluta da Monsignor Motolese e realizzata da Gio Ponti, ha tagliato il traguardo dei 54 anni di vita – cambiano l’inerzia di certi destini. La parabola insita nel nostro racconto. La pochezza del gesto che sbeffeggia i simboli. Roba da far rivoltare nella tomba il prelato e l’architetto che volle modernizzare – conservando – l’architettura italiana.
Un compleanno anonimo per la Concattedrale che si atteggia da sempre a Cattedrale. Un compleanno senza festa e festanti. La “vela” che si specchia nell’acqua stagnante delle tre vasche antistanti l’ingresso, simboleggianti il mare, arenata e incagliata nell’indifferenza generale. L’acqua non ha memoria: per questo è così limpida. Pulisce, smacchia, vivifica. L’acqua nel rito del battesimo simboleggia la purificazione. Anche per la concattedrale: una bambina di soli 54 anni.