venerdì 18 Ottobre 24

Imprenditoria stracciona

La “Questione Meridionale” è anche il braccetto corto, cortissimo di una certa imprenditoria locale. Parecchio taccagna se non addirittura taroccata. Le università più importanti, le redazioni dei giornali, le grandi squadre sportive sono tutte localizzate ormai nel Nord del Paese. Manchiamo di soft power, della prosperità del sapere. Ad aver vinto (perdendo) sono quelli che mio padre chiamava i pezzenti arricchiti

S’investe poco nel sociale. S’investe ancora meno in cultura. Il pubblico non ha le risorse per farlo; al privato, invece, manca la volontà. Nel Nord del Paese va meglio che al Sud, grazie all’operosità di alcune grandi fondazioni bancarie e all’attivismo di generosi benefattori. La famigerata “Questione Meridionale” è, tra le altre cose, anche il braccetto corto, cortissimo esibito da una certa imprenditoria locale. Parecchio taccagna se non addirittura taroccata. Di fatto stracciona. Profittevole con se stessa, avara con tutti gli altri. Gaetano Salvemini colse il cuore del problema già nel secolo scorso: “Noi meridionali siamo maestri della carità umana e alunni ripetenti, a disagio con gli studi, per quel che concerne la progettualità umana”. Siamo tutto, insomma, fuorché capitani coraggiosi. Strateghi, quello sì, di una qualità della vita tontolona. Al portafogli rigonfio fa difetto il ragionamento prospettico. La grazia del gesto. L’eleganza nel gusto. Il conseguimento di risultati condivisi (e condivisibili) in grado di migliorare – e innalzare – la qualità della nostra e dell’altrui esistenza.

Il Mezzogiorno è orfano di grandi università pubbliche e private, di redazioni di giornali, di case editrici, di centri studi, di grandi squadre sportive perché il pensiero da meridiano si è trasformato in rinculo permanente del ragionamento. La grande finanza è al Nord; i cafoni in Ferrari, invece, sfrecciano con facce “intelligenti” lungo le nostre strade. Pezzenti arricchiti di moneta, di carta senza il pezzo di carta, ma a disagio e madidi di sudore se capitasse loro, per caso, un libro tra le mani. Siamo deboli nel soft power, inconsapevoli del potere che lo stesso è in grado di sprigionare. Subappaltatori nel sangue delle grandi commesse di lavoro decise altrove, lontane da noi, con fare scientifico. La vera ricchezza, invece, è nel sapere. Nella conoscenza. Nella curiosità. Una ricchezza contagiosa, distributiva, moltiplicatrice di opportunità insperate. Il Pil (Prodotto interno lordo) andrebbe calcolato secondo Amartya Sen, il Premio Nobel indiano per l’economia, a partire dalla qualità della vita erogata – e percepita – nei territori di riferimento. Quando il capitale non è sociale s’inaridisce, indietreggia. Viviamo male pensando di vivere bene. Privatizziamo, sbagliando, un’idea di pubblico. Avanzano quelli che, mio padre, chiamava i pezzenti arricchiti. Il meridionalismo piangi e fotti di una certa imprenditoria locale. La stragrande maggioranza.

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