Da Pinuccio Tatarella a Raffaele Fitto la differenza si avverte tutta. Il primo voleva una destra oltre la destra; il secondo si accontenta di una destra seduta affianco alla sinistra. Una destra che vuole perdere bene più che vincere
A destra si annaspa. Scarseggiano i quadri (di riferimento), difetta il dinamismo laborioso. La destra che governa il Paese si riscopre entità dalla difficile decifrabilità in Puglia. A Taranto. Nei luoghi dove si organizzò solo qualche mese fa il G7. Nei territori dove dovrebbe opporsi e, invece, si accontenta di esistere. Di maggiorare ulteriormente la già maggioranza. Di non disturbare oltremodo, insomma, il manovratore che le si pone davanti. E incalzarlo, ove necessario, su aspetti salienti di una discutibile azione di governo. Un’opposizione che non si comportasse come tale arrecherebbe due danni. Uno al sistema, minando il fisiologico funzionamento di quella che si suole definire una democrazia assembleare. L’altro a se stessa, rinunciando all’alternanza delle differenti opzioni politiche. Cioè: ai suoi sogni di gloria futura.
Tutto il farraginoso – e, per certi versi, deprimente – dibattito su chi possa sfidare, alle prossime consultazioni regionali, il candidato del fronte opposto testimonia questa ineluttabile evidenza per la destra pugliese. Passata, nel volgere di appena qualche decennio, da una vocazione maggioritaria, dalla possibilità di andare oltre il Polo, per dirla con le parole di Pinuccio Tatarella, ad un mero ruolo di testimonianza. Di asfittico recinto ideale (ed elettoralistico) nel quale auto confinarsi. Complice il proposito – e l’enormi responsabilità – del nuovo vicepresidente della Commissione europea: l’onorevole Fitto. Di colui che mal sopporta la crescita di chiunque altri, fuorché se stesso, nella propria metà campo. Nell’area del conservatorismo liberal-democratico. Una destra siffatta non concorre a vincere; si accontenta, semmai, di perdere bene. Senza rovinose cadute per terra. Di accucciarsi a destra della sinistra.
L’esempio di quanto avviene nel Consiglio comunale di Taranto rappresenta, per certi versi, un caso di scuola. L’amalgama indistinta di un interessato gioco tra le parti, che oltre le parti in questione non interessa nessuno. La destra avrebbe, potenzialmente, più voti della sinistra: in Puglia, a Taranto. Ma latita una classe dirigente in grado di caricarsi sulle proprie spalle questo consenso. E poterlo tramutare in una reale alternanza di governo. Il passaggio da Tatarella a Fitto non è stato indolore. “Destri” ma poco desti.