venerdì 18 Ottobre 24

Taranto, la cultura è un’altra cosa

Non abbiamo una programmazione degna di questo nome. Siamo schiavi della dittatura delle sagre, dei soliti finanziamenti a pioggia dispensati alle solite associazioni. Il nostro declino non è semplicemente economico; investe l’industria del sapere

Manchiamo di cultura, non ne conosciamo le potenzialità infinite, rifuggiamo dal suo tocco magico. L’arretramento di Taranto prima che economico, demografico, è implicitamente legato all’industria del sapere. Al sindacato della conoscenza. Alla politica della bellezza. La cultura è un’altra cosa, era solito affermare quel furbacchione di Pinuccio Tatarella. Con la conoscenza un individuo – e una comunità – ribaltano i propri destini, sovvertono la griglia di partenza nella gara della vita. Più dei salari, il vero ascensore sociale risiede in questo interstizio di civiltà da occupare e traguardare. Nei libri che si sono letti, nei viaggi che si sono compiuti, negli incontri consumati, nelle lingue parlate.

Nella Puglia che diviene, ogni estate, teatro a cielo aperto di arti figurate Taranto ama trasfigurarsi. Restare indietro. Gettare la spugna di una programmazione culturale che non si limiti ai soliti sussidi dispensati alle solite associazioni. Alla medesima orchestra in assenza della quale non sapremmo più come vivere ormai. La vita è musica; quindi, ergo, musica maestro tu che puoi. Nel barese, nel leccese, nel foggiano si caratterizzano per qualcosa. Un festival letterario, un’antologia filosofica, una retrospettiva. A noi, invece, di sganciarci dalla dittatura delle sagre proprio non ci riesce. Del piccolo evento che nulla toglie e nulla aggiunge: in principio così come alla fine. Amiamo crogiolarci nell’insignificanza accomodante. La nostra visione è strabica; confusa e confusionaria. Camminiamo all’indietro pur di non avanzare. Con la cultura non si mangia a Taranto. Qualche buffet tutt’al più, molto mistero buffo. Il nostro cibo per la mente è anoressico.

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