Dalla mozione di sfiducia alla rimozione di sfiducia il passo è breve, giusto il tempo di un battito d’ali. Se affidi la strategia politica ad uno come Abbate, difficile che la logica abbia la meglio sulle urla da stadio. La sensazione, alla fine, è che il risultato di ieri pomeriggio vada bene a tutti: a Melucci, alla maggioranza che si atteggia a minoranza, alla minoranza che scimmiotta la maggioranza
Spoglia. Ferita. Svuotata di significato (e anche di significanti). Triste, solitario y final. Di assembleare, nel senso letterale attributo allo stesso aggettivo, conserva ben poco il Consiglio comunale di Taranto. L’insieme è andato, avanza il particolare. Il maschile – e femminile – singolare. La parte di un tutto che si fa fatica ad intravedere, opacizzato, schiavo di una tattica a digiuno di strategia. La rimozione della mozione di sfiducia era nelle cose. Non ci si dà appuntamento al secondo piano di Palazzo di Città se si vuole realmente mandare a casa un sindaco, interrompere anzitempo una legislatura, ma negli uffici di un notaio. Impugni una penna, riempi di consistenza giuridica la tua firma, più che ricercare la fatica ginnica di un’alzata di mano. Se insegui Abbate sul suo terreno d’elezione, assecondi una scienza non falsificabile, digiuna di politica, di ragionamenti concludenti e grazia intellettuale. E la logica, inevitabilmente, verrà sommersa dalle urla da stadio. Conquisti così facendo, semmai, l’orlo del precipizio in luogo del risultato sperato.
Singolare che il Pd e i Cinque Stelle, assieme agli altri rimasugli di quel che si suole chiamare campo progressista, non l’abbiano capito per tempo. Prima che il tranello semantico di una maggioranza terrorizzata dalla numerologia, dal 17 tirato a sorte sulla ruota di Taranto, s’immolasse sull’Aventino di un municipio impenetrabile. Rifugiatosi nella modalità aerea di un confronto negato. Morto sul nascere al pari di un grido strozzato in gola. Alla fine, va bene così. A tutti. Al sindaco Melucci. Alla sua maggioranza che si atteggia a minoranza. Alla minoranza che scimmiotta la maggioranza. Al governo e alle opposizioni che, in egual misura, in maniera vicendevole, avrebbero perso più di qualcosa se il giocattolo si fosse realmente rotto. Meglio, per tutti loro, un Consiglio comunale moribondo che un’assemblea passata a miglior vita.
Resta una sola recriminazione personale, personalissima, per un sabato di febbraio che ha ricordato certi sabato di fine maggio qui a Taranto: caldi e assolati. Vuoi mettere una corsa vicino al mare, il vento che ti sfiora il viso, i pensieri che si nobilitano all’aria aperta, invece che osservare il presidente Bitetti suonare per ben due volte un campanellino evidentemente afono.