“Diario di un’eternità” di Petros Markaris è uno di quei libri rari. Raccontano, attraverso la tecnica del dialogo, l’opera cinematografica del grande artista greco. E spiegano come il processo creativo sia il vero argine al dilagare del potere. Qualsiasi forma lo stesso possa assumere
“Diario di un’eternità – Io e Theo Angelopoulos” di Petros Markaris è un libro delizioso. A tratti delicato. Una di quelle opere rare, inusuali, scritte mediante la formula del dialogo intessuto tra due amici: il cineasta, lo scrittore. I racconti, l’esperienza, le sconfitte. Le ideologie con le loro derive. I patemi d’animo a segnare i percorsi mai banali dell’esistenza umana. La storia, qualsiasi storia, che replica una domanda vecchia e persistente: come nasce un’idea? Da una passeggiata, forse. Guardando un albero che ci rivela una verità, ci conferma una bugia. Dall’osservazione che definisce – e forgia – lo spirito critico. Dall’immaginazione che combatte le imposizioni, qualsiasi esse siano. L’arte, ci racconta Angelopoulos attraverso le sue pellicole, ha il potere di banalizzare le tragedie. Di rendere teatrale il sorriso che segue ogni pianto e lacrima versata. Il suo “L’eternità e un giorno” depura il linguaggio cinematografico dalle speculazioni commerciali. Mediante la tecnica del piano-sequenza rende interminabile, sconfinata nello spazio, refrattaria al tempo, la rimozione della storia. Quella del suo Paese che visse l’onta del regime dei Colonnelli. Quella del Novecento: il secolo breve dalle tragedie imperiture.
Tutti i film di Theo, che si avvalse della collaborazione del nostro Tonino Guerra, abile sceneggiatore di quell’imprescindibile rompicapo chiamato uomo, aprono un traccia. Segnano un percorso. Intravedono un orizzonte. “Lo sguardo di Ulisse”, “Il passo sospeso della cicogna”, “La polvere del tempo” sono capolavori non replicabili. “Il periodo che precede la realizzazione di un film – confida all’amico scrittore, Markaris – è un periodo di umidità, con strane variabili, strane percezioni apparentemente irragionevoli. Un’alternanza di astrazione e acutezza. E’ un periodo di doppia vita”. Che dirà che l’idea di un film è nata guardando un albero dire la verità.