L’esponente socialista, in prima serata, interroga quel che resta – e resiste – della coscienza del Paese. Pone dubbi sul fatto più cruento, e infamante, della nostra storia istituzionale. Una bella pagina di giornalismo di qualità
Discutere – e interrogarsi – del rapimento di Aldo Moro in prima serata su Rai 3. Nella puntata di Report, andata in onda domenica 7 gennaio, cioè ieri, si è raccontato l’episodio più cruento e infamante della nostra democrazia istituzionale. L’uccisione del leader della Democrazia Cristiana avrebbe cambiato per sempre la storia del Paese. Inferto una ferita non più rimarginabile – e rimarginata – per quel che concerne il vincolo di rappresentanza alla base dei moderni sistemi liberali. Tangentopoli, la P2, Berlusconi, la politica affidata a comici e analfabeti funzionali, sarebbero discesi tutti quanti assieme da quel delitto consumato sull’altare di una pretesa rivendicazione ideologica. Il merito di Sigfrido Ranucci, della sua redazione giornalistica, è stato quello di aver riannodato i fili dei fatti che si svolsero nel 1978 senza ricorrere al racconto stereotipato. Al proposito buonista di molti commentatori arrivati, con colpevole ritardo, a lambire la verità. Alternando con equilibrio descrittivo, amore per la sintesi, irriverenza semantica, la ricostruzione di quelli anni mediante i ricordi di politici, magistrati ed esponenti dei nostri Servizi segreti.
Uno dei protagonisti di quella stagione fu il vicesegretario del Psi, l’onorevole Claudio Signorile. L’esponente della sinistra lombardiana tentò di tessere un dialogo con alcuni referenti di “Potere Operaio”. Di creare un canale di confronto tra i brigatisti e una parte dei movimenti extraparlamentari del tempo. Con Franco Piperno, per esempio. L’ideatore della formula “geometrica potenza” per descrivere la forza omicida del terrorismo. Con Lanfranco Pace. Signorile, ai microfoni di Report, interroga la coscienza del Paese. Quella di ieri e, nondimeno, quella che ancora resiste ai nostri giorni. “Ho sempre pensato – argomenta – che i rapitori dell’onorevole Moro non avessero una completa autonomia di azione e di costruzione degli eventi che, da lì a poco, si sarebbero consumati”.
Tradotto: le Br non furono soli, e i soli, ad attuare i funesti propositi sul finire degli anni ’70 del secolo scorso. Moro sarebbe stato ucciso comunque. Per volere dell’alleato americano che non accettava di buon grado la politica filo palestinese dello statista pugliese? Per lotte di potere interne alla stessa Dc? Per il ruolo di Paese cuscinetto ricoperto dall’Italia negli anni della Guerra Fredda? Le tante Commissioni parlamentari nate – e morte – sul “Caso Moro” hanno raccontato molto senza mai raccontare abbastanza. Serve l’informazione di qualità se si vuole discutere alla pari con la verità, sedendoti con la stessa al bar per poterla guardare negli occhi. Un plauso a Report. Un ammonimento alla nostra propensione parolaia. Discutiamo tanto, concludiamo poco.