Coordinare l’ordinamento interno con quello comunitario, il nostro Paese è ancora molto indietro. Soprattutto per quel che attine le tematiche ambientali. Sotto la lente di osservazione i processi produttivi dell’ex Ilva
Più di 800 milioni pagati nell’ultimo decennio. Tra l’Italia e le procedure d’infrazione (letteralmente: il mancato adeguamento dell’ordinamento nazionale a quello comunitario) esiste una lunga storia. Il tema delle infrazioni al diritto europeo raramente occupa spazio nel dibattito pubblico. Si tratta però di un argomento che necessiterebbe di maggiore attenzione dato che ha un impatto non indifferente per le casse pubbliche. L’Italia è tra i Paesi europei più in difficoltà su questo fronte. La nostra nazione infatti occupa il sesto posto per numero di infrazioni a proprio carico. Sale però al primo se si considerano le procedure che si trovano nello stadio più avanzato. Cioè quelle più vicine all’emanazione di sanzioni. Non si tratta di una questione di poca rilevanza dato che, in base alla relazione annuale della Corte dei Conti sui rapporti finanziari tra l’Italia e l’Unione europea, ripetiamo, il Belpaese ha dovuto pagare oltre 800 milioni in 10 anni a causa delle infrazioni. Tra le procedure attualmente in corso che coinvolgono il nostro Paese la maggior parte (17) riguarda tematiche ambientali. Con i processi produttivi nell’ex Ilva, assieme a diverse discariche disseminate sull’intero territorio nazionale, da anni bandite dalla Comunità europea, ad occupare lo spazio più rilevante di questo triste elenco. Un altro ambito in cui l’Italia ha commesso un numero significativo di infrazioni è quello legato a stabilità finanziaria, servizi finanziari e unione dei mercati dei capitali. In questo caso le procedure pendenti sono 12. Vi sono poi altri tre settori in cui il nostro Paese fa registrare 8 procedure di infrazione ciascuno. Si tratta in particolare di affari interni, mercati, industria e Pmi e occupazione, affari sociali e pari opportunità. Complessivamente gli importi versati a causa di seconde condanne ammontano a circa 829 milioni di euro tra il 2012 e il 2021. Risorse che vengono sottratte di anno in anno dal bilancio pubblico e che potrebbero essere impiegate in altro modo nell’interesse della collettività. A migliorare l’ambiente. A rendere più credibile la sanità pubblica. A costruire un sistema dell’istruzione, sempre pubblico, meno votato alla precarietà. Soprattutto al Sud.