lunedì 2 Dicembre 24

Sull’ex Ilva lo Stato ristori realmente Taranto

Intervista al segretario nazionale dell’Udc, Lorenzo Cesa. “Rifare la Dc non sarà più possibile, ma il Paese ha bisogno della cultura di governo dei cattolici e dei moderati”

Segretario Cesa, qual è la posizione dell’Udc sullo Ius Scholae?

“Siamo assolutamente a favore. Non da oggi, ad onor del vero. Già nel 2011, come Unione democratica di centro, firmammo una legge bipartisan su questo tema. All’epoca, ricordo, eravamo all’opposizione del Governo Berlusconi. Posso confessarle una cosa?”.

Prego.

“Chi fa politica ha il dovere di capire le trasformazioni in atto nelle società di riferimento. Farlo, ove possibile, prima di altri. Senza tare ideologiche. L’istituto giuridico della cittadinanza non è qualcosa di statico. D’immutabile nel tempo. Non replica, insomma, se stesso all’infinito. Auspicherei però, su temi come questi, un dibattito pubblico più pacato. Più propositivo. In grado di tenersi a debita distanza dalle strumentalizzazioni che, nel nostro Paese, sembrano essere sempre in agguato”.

I sindaci riuniti nell’Anci, l’Associazione nazionale dei comuni italiani, lamentano ritardi nell’erogazione dei fondi Pnrr. Chiedono al governo maggiore elasticità nel trasferimento delle risorse finanziarie pattuite. Si rischia di chiudere i cantieri il giorno dopo averli inaugurati.

“Il Governo, e il ministro Fitto con il quale ho avuto un confronto dialettico proprio questa mattina, devono farsi carico del problema. I sindaci hanno ragione. L’Europa, dal canto suo, ricerchi misure meno stringenti nell’applicazione del Pnrr. Serve maggior coordinamento tra i diversi livelli istituzionali. Una sinergia che riguardi, alla fine, tutti gli attori coinvolti a vario titolo nei processi decisionali”.

Il governatore di Bankitalia, Fabio Panetta, è preoccupato per la stesura della prossima legge di Bilancio. Soprattutto in considerazione degli enormi divari che, ancora, perdurano tra Nord e Sud del Paese. La legge sull’Autonomia differenziata potrebbe segnare un punto di non ritorno nella nostra travagliata – e controversa – storia post-unitaria?

“Non sarei cosi allarmista. Personalmente considero questa legge un fatto positivo, in grado di responsabilizzare le classi dirigenti locali: tanto del Nord, quanto del Sud. Il centrodestra al governo del Paese, tra l’altro, porta a compimento – e definizione – la riforma del Titolo V della nostra Costituzione. Riforma, vorrei ricordare, voluta dalla sinistra. E, poi, l’autonomia differenziata potrà essere applicata solo in presenza dei Lep (Livelli essenziali di prestazione, ndr) in tutte le Regioni italiane. Altrimenti, nel caso tutto ciò non si verificasse, resterebbe lettera morta. Una norma, per così dire, inapplicabile”.

Perché è così difficile avere rapporti di “buon vicinato” tra potere politico e potere giudiziario nel nostro Paese?

“Perché, da Tangentopoli in poi, un potere ha pensato di poter travalicare il raggio d’azione delle proprie funzioni. Sulla scorta di un protagonismo mediatico, insperato solo un attimo prima, ha operato ingerenze non contemplate nella nostra Magna Carta: la Costituzione. E questo potere non è stato certamente quello politico. Sono convinto che, grazie al ministro Nordio, persona dalla grande competenza giuridica e sensibilità istituzionale, molte storture potranno essere rimediate. Portate a sintesi. A cominciare dal nostro sistema penitenziario”.

L’associazione Antigone denuncia un modello carcerario da Terzo Mondo. Altro che un’Italia liberale, occidentale, votata alla strenua difesa dei diritti.

“Concordo perfettamente con lei e con gli attivisti di Antigone. Ci lamentiamo delle condizioni dei detenuti rinchiusi nelle carceri di altri Paesi, diventiamo radical chic quando giudichiamo l’operato altrui, e non cogliamo le criticità che annoveriamo in casa nostra. Incorre in questo cattivo vezzo soprattutto una certa intellighenzia di sinistra: abile nel parlare, pessima quando dalle parole poi bisogna passare ai fatti”.

Su la Repubblica di ieri, Maurizio Molinari, tratteggia un mondo nel quale si confronteranno sempre più coalizioni e candidati liberal-democratici con coalizioni e candidati del campo populista e sovranista. Ritiene che le prossime elezioni presidenziali americane rispettino questo schema duale?

“Molinari racconta una realtà che non esiste, immaginaria e immaginifica, pur essendo stato per molto tempo corrispondente de La Stampa proprio dagli Stati Uniti. Chiunque dovesse essere il prossimo presidente americano, la politica estera di quel Paese non cambierà. Non subirà alcuna sostanziale modifica. Resterà tale e quale. Anche la premier Meloni è una populista per il giornale fondato da Eugenio Scalfari. Una populista sui generis, mi permetto di aggiungere. Visto che, da anni, fa parte in Europa del raggruppamento dei Conservatori alleato con i Popolari. Più insistono su questi temi e più la destra resterà ancora per moti anni nelle stanze di Palazzo Chigi”.

Il ministro Tajani ha dichiarato, l’altro ieri, che esiste uno spazio politico tra Meloni e Schlein. Uno spazio di centro, lo stesso al quale guarda l’Udc immagino.

“Esiste uno spazio, è vero. Ma esiste anche una legge elettorale, quella attuale, che ti costringe a scegliere uno dei due schieramenti. Ad abbracciare una logica bipolare. Rifare la Dc non è possibile, portare nelle istituzione la cultura di governo dei cattolici, moderata, cosmopolita, ritengo sia cosa giusta e utile per il Paese”.

Esiste un problema di qualità media, a dir poco scadente, del ceto politico italiano?

“Non esistono più i partiti nel nostro Paese; e, senza i partiti, diventa difficile selezionare una classe dirigente degna di questo nome. All’altezza delle tante fide che attendono una nazione importante come l’Italia. I partiti di oggi sono legati ai sondaggi, ai leader di turno. Con il risultato che, quando un leader sbaglia, i partiti si sciolgono come neve al sole”.

Da presidente della delegazione parlamentare italiana presso l’Assemblea della Nato, so lei tenere molto al Mediterraneo. Negli ultimi decenni non abbiamo di certo brillato per una strategia che rivolgesse le proprie attenzioni al Mare Nostrum.  

“E’ vero, ma da qualche anno non è più cosi. Stiamo recuperando il tempo andato perso. Il Piano Mettei rappresenta un esempio in tal senso. L’Italia è il Mediterraneo. Nessun altro Paese europeo ha una vocazione euro-mediterranea più del nostro. Molto delle opportunità future, che sapremo cogliere, dipenderanno da questa piena consapevolezza. Una consapevolezza in grado di saldare identità e modernità”.

La questione dell’ex Ilva, a Taranto, somiglia al monito di Tomasi di Lampedusa nel Gattopardo: “Tutto cambia perché nulla cambi”.

“Ci sono stati degli errori da parte di tutti, è innegabile, nel far nascere un impianto industriale di quelle proporzioni a ridosso della città. Alle porte, praticamente, del quartiere Tamburi. Tenere insieme i diritti, la salute e il lavoro, la vita e la produttività, è possibile a patto che quella fabbrica subisca interventi seri di modernizzazione. Così come fatto in altri luoghi del pianeta. Taranto merita ristori concreti, tangibili da parte dello Stato per le tante perdite di vite umane subite”.

Per esempio il riconoscimento dello status di Città Metropolitana in Puglia al pari di Bari. In Spagna, il destino dell’Andalusia, iniziò a cambiare grazie ad un diversa legittimazione amministrativa – e giuridica – delle comunidades autonomas.

“E’ un’idea che, se permette, le rubo. Che faccio mia. E che sottoporrò ai ministri competenti alla ripresa dell’attività parlamentare. Promesso”.

 

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