venerdì 18 Ottobre 24

Quello che le donne non dicono

Fino a quando essere donna equivarrà a sopportare un carico mentale maggiore rispetto a un uomo o a costituire un ostacolo in ambito lavorativo non ci sarà mai una vera parità

Cos’è che le donne non dicono al giorno d’oggi?

Ad esempio la fatica, a volte immane, che sopportano quotidianamente per portare avanti carriera e famiglia.

Perché una donna, per assolvere il compito che la società le assegna più o meno velatamente sin da piccola, DEVE occuparsi di entrambe le cose. Nel migliore dei casi, può farsi carico del solo ambito familiare. Poi, se rimane spazio, c’è posto anche per il lavoro. E per i sensi di colpa ovviamente, quelli fanno tutti parte del pacchetto.

Così capita che la incontri davanti a scuola o al supermercato, con la testa immersa in mille pensieri, ma subito pronta a sfoderare il suo miglior sorriso. “Come va?”, “Benissimo – ti risponde – riesco a gestire casa, famiglia, lavoro. Sì, lavoro tanto, ma non ci lamentiamo”.

E come lamentarsi in una città come Taranto, in cui solo il 31,4% delle donne di età compresa tra venti e 64 anni lavora? Sembrerebbe quasi una bestemmia.

Meglio rischiare l’esaurimento per far quadrare tutto: del carico mentale che deve affrontare una donna ogni giorno si è parlato tanto, ma ben poco è stato fatto concretamente per ridurre questo peso, che ha conseguenze ben precise sulla salute fisica e mentale femminile.

A cominciare dai servizi per la famiglia offerti dal nostro territorio: così poco incisivi da far collocare Taranto al 100esimo posto per tasso di occupazione femminile, rispetto a città come Monza, che sul sostegno ai genitori lavoratori investono tanto e bene.

Frutto anche questo dei retaggi maschilisti che permeano la nostra cultura?

Forse. Del resto, quante volte ad un uomo viene chiesto di seguire i bambini nei compiti, di tenere la casa pulita, di cucinare?

Se l’uomo lavora ha già assolto al 99% degli incarichi che la società gli chiede.

Se poi è un uomo “illuminato” e aiuta la propria compagna nella gestione dei carichi familiari potrebbe persino essere assimilato ad un eroe: “Cioè tu torni dal lavoro e cucini ANCHE?”, “Ah segui TU i bambini nei compiti? E tua moglie che fa? Beata lei, donna fortunata!”.

Ammettiamolo, quante volte abbiamo ascoltato discorsi del genere nel nostro vissuto quotidiano? Tanto, forse troppo. Quasi fino a farli nostri.

Perché gli stereotipi sono tarli quasi invisibili e molto insidiosi: ti sembra di combatterli, ma pian piano si insinuano nella tua mente fino a farti credere che nascondano un fondo di verità, finché non prendono possesso del tuo modo di pensare.

 Ed è così che poi ti ritrovi a chiedere ad una donna che lavora e ha famiglia: “Ma nel weekend ALMENO ti lasciano libera di stare con i bambini?”, “Lavori fino alle 18? E con i tuoi figli come fai, chi si occupa di loro?”, “Scommetto che per gestire la casa ti fai aiutare da una governante, no?” (Certo, un’altra donna che assolve all’incarico che tu non riesci a portare a termine).

Siamo di fronte ad un problema culturale, indubbiamente, di cui ancora si parla troppo poco o troppo superficialmente.

La parità di genere viene spesso confusa con battaglie di dubbia valenza, ignorando che si tratti essenzialmente di un approccio alla vita, da trasmettere innanzitutto in famiglia e a scuola, i luoghi deputati per eccellenza all’educazione delle nuove generazioni, e poi sul posto di lavoro e in tutti gli altri ambiti sociali.

Quindi, vi chiederete, se una donna non ha famiglia è avvantaggiata in campo lavorativo? Nossignore.

Uno studio messo a punto dall’Osservatorio indifesa di Terre des Hommes e OneDay Group, condotto su duemila donne italiane di età compresa tra 14 e 26 anni, afferma che sul futuro della metà delle ragazze italiane incidono pesantemente stereotipi e retaggi maschilisti: il lavoro è addirittura considerato il luogo più a rischio discriminazione.

Un gap occupazionale come sempre avvertito maggiormente al Sud: all’interno dell’indagione sulla Qualità della vita femminile in Italia, realizzata da Il Sole 24Ore e pubblicata a dicembre 2022, Taranto si posiziona al 102esimo posto su 107 città italiane, con un divario del 31,7% tra il tasso occupazionale maschile e quello femminile.

Esiste ancora, quindi, la percezione di lavori “più adatti agli uomini” perché richiedono una disponibilità oraria o una forza caratteriale maggiori: requisiti entrambi associati, erroneamente, alla figura maschile.

Molto spesso il lavoro femminile, qui al Sud, appare nell’immaginario collettivo reale (non quello sbandierato sui social o nei comizi) come una sorta di benevola concessione della parte maschile della società: “Facciamo vedere alla donna che può lavorare; non troppo, però: che ognuno conservi i suoi ruoli”.

Il vero cambiamento nasce partendo dal presupposto che non esiste alcun ruolo predefinito: siamo in primis persone, uomini e donne, diversi ma con pari diritti ed ognuno con le sue risorse ed i suoi talenti da mettere al servizio della società e della famiglia.

Un cambiamento che deve partire da noi donne: perché finché continueremo a fingere che vada tutto bene, che essere considerate super donne che si fanno carico del mondo intero è un motivo di vanto, che è giusto scegliere tra famiglia e lavoro, che è normale mortificare la propria femminilità per competere in ambiti lavorativi maschili(sti), saremo noi per prime le artefici di questo gap.

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