di Marco Tarantino
Vita, opere e ‘correctness’ dell’allenatore capace di guidare il Taranto verso una salvezza che ha del miracoloso: sostenuto dai sacrifici di Giove e dalla lucidità di Galigani. Vediamo se stavolta la città ne ha capito la portata, e se è capace di dire grazie
A CAPUANO, un bel giorno, uno sfigato di porta a porta provò a vendere la Treccani della famigerata politically correctness: se dopo dieci citofonate mister Eziolino avesse finalmente aperto, gli avrebbe spiegato che era importante, anzi necessario, capire che se in Italia vuoi fare carriera o perlomeno seguire un percorso premiato devi studiare, più che le cose da dire, quelle da non dire. Ma Capuano non rispose al rappresentante di enciclopedie, o stava dormendo, oppure rispose e lo mandò affanculo. La terza che ho detto non è quotata dai bookmakers.
Fatto sta che, fosse adolescente o già grandicello, fosse per indole o per contesto, per temperamento o per situazione, per persona (sì) o per personaggio (pure), Eziolino da Salerno ormai aveva definitivamente indossato l’armatura dei poverissimi, di cartone e neanche di latta, uno scudo di compensato, un elmetto col foglio a quadretti, una spada di cartavelina, e dall’alto dei suoi 163 centimetri aveva incrollabilmente deciso che del mondo se ne fotteva se anche il mondo se ne fotteva di lui, che sarebbe stato più forte di qualsiasi gigante mascherato da mulino a vento oppure da bullo, che da nessuno sterrato si sarebbe fatto azzoppare, da nessuna indigenza uccidere, da nessuna batosta deprimere, da nessuna etichetta devastare.
Capuano: basta il cognome, ormai.
Il nome, Eziolino: di più.
TRENTA SQUADRE in trentotto anni, siccome Capuano si fece male a 17, allenava a 20 e a 23 già guidava l’Ebolitana in Interregionale. Due sole in centronord, Modena, fallito (e vuoi vedere), e Arezzo, dove per sceneggiature conobbe la parte più alta della sua curva creativa. Persa l’amichevole con un club di Promozione, il Lucignano, nello spogliatoio spettinò la ciurma: “Vi scanno, siete delle merde”, peccato che un suo giocatore filmò il video e lo fece diventare virale su FB. Prima del derby con la Carrarese: “Se non vinciamo ne metto dieci fuori lista”. Prima della trasferta di Busto Arsizio: “Non voglio checche in campo”, tre punti, 5mila euro di multa a lui, 10mila alla società. Sicché corresse il tiro: “voglio una banda di maiali assatanati, non di femminucce. Si può dire, femminucce?”. Ah, il tizio della Treccani. Mai avrebbe dovuto permettersi, quel suo contropiedista, di perdere palla in ripartenza, ché da lì presero gol: “Ma vai a cacare, va’… Montini deve andare a lavare i panni”. Chiamate, esoneri, dimissioni, accuse, imprecazioni, sparate, sangue, sudore e lacrime: il mondo, lo status, il dna di Eziolino: “Alleno squadre disperate”. Il suo pane, il suo Kaos. Nel 2010 salva, punti alla mano, un Potenza semifallito e senza un euro, sa lui come fa, questi sono scudetti anzi Champion’s, poi il Potenza ufficialmente fallisce. Sicché firma per il Messina, ma si dimette dopo una settimana perché la dirigenza non ha voluto chiedere il ripescaggio in Seconda Divisione. Va in Belgio, massima serie, Eupen, ma strappa il contratto dopo un mese per litigi col diesse. “Dovevo salire prima al Nord, avrei fatto un’altra carriera…”. Anche meno, mi sa. Mai messa panca nemmeno in B. Il Nord non ti ha fatto salire, Ezio. Due promozioni dalla D alla C2, ’96 e ’97, Altamura e Cavese, tripli salti mortali tra Nocera, Sora, Pozzuoli, Pagani, Trapani, Caserta, Foggia: la lista è troppo lunga, stop. Capovolgi il mantra dei legal thriller: se insegui Capuano, cerca dove non c’è il denaro. “Friggo i pesci con l’acqua minerale”: ipse dixit. Puro Vangelo, Ezio. Il tuo. Sei il quinto evangelista.
IL MIO ANTICO NEMICO sbarcò a Taranto nell’estate del 2001. Aveva appena 36 anni, era un prospetto ma già navigato: l’anno precedente aveva fatto nozze e fichi secchi (e vuoi vedere) con la Puteolana in C2, quarto posto e playoff persi contro il Catanzaro. Il Taranto era fresco di salto dalla C2 e Pieroni, che si faceva chiamare patron e che aveva sistemato la società come piaceva a lui (con quattro ufficiali pagatori e Massimo Giove presidente senza microfono), decise di affidarsi al grintoso giovanotto. Quell’annata fu più romanzi in un unico romanzo, ne ho già scritto varie volte e per ripercorrere certi passi piuttosto desolanti dovrei (ri)fare il contropelo a persone che non ci sono più: non fa per me. Capuano all’epoca era un post sacchista, i suoi terzini erano esterni bassi e il suo 442 un dogma intoccabile. Predicava benissimo cose che in campo non si vedevano, ma insomma: vittorie risicate con Vis Pesaro e Castel di Sangro, batosta a Lanciano. Provammo a parlare di calcio, due volte insieme a Blustar, trasmissione ‘Pallonetto’. La seconda volta, a fari spenti, si incazzò: critichi me e il Taranto, mi disse, perché ce l’hai con Pieroni. Aveva torto, ma anche qualcosa da imparare, purtroppo per lui. Fece i compiti alla quarta, a Chieti, dove il Taranto non doveva giocare e infatti non giocò, consegnando campo e punti. Eziolino aveva osato discutere le scelte di Pieroni e lo aveva inchiodato a promesse non mantenute.
Pare, dunque, che per un giusto esonero servisse una giusta sconfitta.
Spesso mi sono chiesto per quante notti Capuano non abbia più dormito, da quel fottuto 23 settembre in poi.
RITROVARLO SU QUESTE SPONDE, esatti 21 anni dopo, mi ha strappato un mezzo sorriso e un’intera nostalgia. Di Costanzo ne aveva presi sette da Monopoli e Catanzaro, il malumore era generale, lo scollamento nell’aria: quale altro miglior nostromo, se presente e futuro puzzavano di tempesta? Del Taranto calcio mi occupo ormai solo per qualche cronaca. Ma non serve esservi dentro per capire che la salvezza senza playout, più che un capolavoro, è stata un miracolo. Di cui Capuano, beninteso, non è stato l’unico artefice: e mi riferisco alla passione di Giove e alla competenza di Galigani, che nella tempesta hanno sempre guardato la bussola e mantenuto la rotta tra difficoltà di ogni genere, a partire da disaffezione e sciopero del tifo. Due volte, per sei gare filate, il Taranto è andato in bianco: il suo miglior cannoniere, Tommasini, ne ha fatti appena 8. Qualche capello grigio in più, qualche sacramento in meno, stavolta Capuano se ha sclerato lo ha fatto solo in privato, o sul bus (dopo Avellino, per esempio); ma in pubblico si è sempre caricato di ogni responsabilità, difeso i giocatori con cui doveva fare la salsa e valorizzato i disponibili a dispetto della lista di infortunati (immancabilmente lunga). A volte o spesso, il neo 352 dell’età matura – altro che esterni bassi – gli ha comportato critiche da parte di fenomeni, elzeviristi ed esteti che di calcio sanno tutto, purché sia il calcio fatto dagli altri. La sentenza, la certificazione, il risarcimento del Fato sono arrivati domenica, umiliando il Pescara del Zeman che conosciamo, pronto alla fine a incolpare i suoi e prontissimo, in vigilia, a trattare Capuano come un improvvisatore senza mestiere. Non replico, ha sorriso Eziolino: “Zeman è una persona anziana”. Saranno i capelli grigi. “Aprile fa i fiori e maggio se ne prende il merito”, scrive Perez Reverte in ‘Due uomini buoni’. Vediamo se Taranto, stavolta, è capace di dire grazie.